“Una Stanza a Narni”
(Pubblichiamo in anteprima, per gentile concessione dell’autrice, il testo che la scrittrice Sandra Petrignani ha scritto sulla Stanza per la rivista L’Immaginazione).
Una Stanza a Narni
A Narni, l’antichissima cittadina umbra nella provincia di Terni, a un’ora da Roma, c’è da poco più di un anno un angolo di Manhattan: un magnifico spazio in un edificio del Trecento per mostre, eventi letterari, musicali, artistici. È nel centro storico, in via del Campanile ai numeri 13-15, alle spalle del Teatro Comunale e della cattedrale di San Giovenale e con un affaccio vertiginoso sulla valle del fiume Nera dominata dai monti Amerini. Si chiama Stanza e ha anche un secondo nome, misterioso ed evocativo: Ci sono cieli dappertutto. L’ha fondata Beppe Sebaste, uno scrittore eccentrico, nel senso letterale e variamente significativo di “pervicacemente lontano dal centro”, insieme a un gruppo di complici amici che gestiscono con lui il blog: www.stanza.cloud
«Tutto nasce da un trasloco e da una frase di Pascal», racconta. La frase è questa: «Tutta l’infelicità degli uomini viene dal non saper restare tranquilli in una stanza». Beppe, nato a Parma nel ’59, è vissuto in Svizzera, in Francia, ultimamente a Roma, è anche un viandante d’Oriente e di altezze himalayane, ma a stare tranquillo in una qualche stanza del mondo è senz’altro capace, com’è capace d’ascolto e di meditazione. Il trasloco cui fa riferimento è quello che l’ha visto lasciare Roma per trovare a Narni uno spazio congeniale in questo antico palazzo dove, facendo i lavori, è venuta fuori, dietro a tante brutture che si erano sedimentate nel tempo e nelle vicissitudini di altri inquilini, la Stanza, che è molto più di una stanza. È una sala a grandi arcate. Ricorda l’interno di una chiesa. Beppe vive nei più piccoli vani intorno. Gli bastano. «Ho intuito, fra i calcinacci, che avrei finalmente avuto a disposizione uno spazio grande da condividere, un laboratorio, un luogo d’incontro e di scambio fra le persone e fra le diverse arti».
Il progetto segue l’onda delle stagioni e dunque, quattro volte l’anno, la Stanza sceglie «un tema che artisti, poeti, scrittori, video-maker, performer, filosofi e pellegrini sono invitati a esplorare e sviluppare in diverse direzioni». Il tema del giorno dell’inaugurazione, tra estate e autunno dell’anno scorso, fu la Stanza stessa, concepita come luogo in cui l’artista realizza il suo corpo a corpo con i propri fantasmi e come forma della poesia: la stanza dantesca. Un altro progetto, invece, in corso fino alla primavera prossima, è incentrato intorno al concetto di Lessness, parola beckettiana intraducibile che evoca l’idea della sottrazione e del “senza”. Per Sebaste incarna lo spirito dell’esistenza secondo lui, ispirato da antichi maestri: l’essenzialità come stile e qualità della vita. Un suo testo affascinante s’intitola Il libro dei maestri (pubblicato da Sossella nel 2010) che riprende il Porte senza porta. Incontri con maestri contemporanei del 1997 (Feltrinelli). Senza contare che il suo libro forse più fortunato è lo stravagante Panchine. Come uscire dal mondo senza uscirne (Laterza, 2008), una rassegna di panchine, appunto, su cui gli è piaciuto sedersi a osservare il mondo e pensare.
E poi: «Ho sempre sentito gli artisti più fratelli degli scrittori» ammette. Fratellanza e amicizie che il suo lungo soggiorno in una città artistica come Pietrasanta, in Toscana, ha potenziato. Ecco come si spiega che al suo richiamo rispondono tanti nomi importanti. Per la rassegna Fatti di terra, inaugurata l’autunno scorso, sono esposte opere di Marco Tirelli, Luigi Ghirri, Naoya Takahara, Paolo Canevari, Silvia Stucky, Gianfranco Baruchello per citarne soltanto alcuni. E poeti come Silvia Bre, Claudio Damiani, Maria Grazia Calandrone, Carlo Bordini hanno partecipato leggendo i loro versi. Altre manifestazioni si susseguiranno fino alla chiusura di questa mostra, tra gennaio e febbraio, coinvolgendo sismologi, fisici, architetti e maestri zen. E intanto, dal venerdì alla domenica, Beppe accoglie i visitatori-pellegrini fra le 11 e le 13, e su appuntamento. Però a piedi nudi: le scarpe vanno lasciate all’ingresso. Tutt’al più ci si può infilare un paio di morbide ciabattine fornite dal padrone di casa, strettamente vegetariano, come il pranzo che in cambio di un’offerta libera viene imbandito nei giorni che festeggiano l’apertura di una nuova rassegna. A prepararlo, il pranzo, è l’Associazione Forme dell’Anima che ha sede proprio di fronte alla Stanza: un luogo di devozione e di pratica, fra l’altro, di «agricoltura spirituale». Non mi chiedete di che si tratta perché non lo so, e saperlo implicherebbe un approfondimento che al momento non mi posso permettere. Ma il risultato è splendido: un cibo dai sapori mescolati di terra e di cielo. E così, da Manhattan ci si sente proiettati agli antipodi, in un angolo di India antichissima e insieme molto contemporanea.
Sandra Petrignani